L’uomo non è l’unico animale a soffrire d’ansia, ma in che modo tutte le altre specie gestiscono le situazioni di forte stress emotivo?
Molti di noi affrontano situazioni stressanti bevendo molto caffè, dormendo troppo, troppo poco o consumando quantità eccessive di cibo. A quanto pare, anche diversi animali, sia selvatici che domestici, mostrano reazioni fisiche allo stress. Le sfide principali che si trovano ad affrontare riguardano il cibo, che devono procurarsi in quantità sufficiente, e i predatori da evitare. A volte, però, la causa dei loro traumi è l’essere umano. Ma in che modo questi animali gestiscono lo stress in situazioni particolari?
Animali e ansia, ecco tutte le differenze rispetto agli esseri umani
L’ansia è una condizione intricata e che può avere motivazioni e sintomi molto vari. Una cosa che abbiamo appreso a riguardo, però, è che le sue radici sono nel cervello, e che quello delle persone ansiose è “cablato” in modo diverso da chi non sperimenta comunemente sensazioni di paura, inadeguatezza, stress e tutti gli altri sintomi che si collegano all’ansia. Ma cosa succede, invece, nel cervello degli animali ansiosi?
Una recente indagine rivela, ad esempio, che la rara lucertola Aspidoscelis neotesselatus del Colorado mostra comportamenti alimentari “compulsivi” in risposta allo stress provocato dal rumore. Parte dell’ambiente di questi animali comprende la base militare di Fort Carson, dove aeromobili che sorvolano regolarmente la zona a bassa quota generano rumori significativamente più intensi rispetto a quelli a cui gli animali sarebbero normalmente esposti in natura.
Osservando alcuni individui di questo rettile in ambiente naturale e analizzando i campioni ematici, gli studiosi hanno individuato che, durante i sorvoli, le lucertole producevano quantità maggiori di cortisolo (l’ormone dello stress), si spostavano meno e aumentavano il loro consumo alimentare. Secondo gli autori dello studio, l’aumento dell’apporto alimentare compensa l’energia consumata a causa dello stress.
Vediamo altri modi in cui gli animali somatizzano l’ansia. Per ogni mammifero, il sonno è essenziale: la mancanza di un riposo sufficiente, infatti, può arrecare danni alla salute.
“La carenza di sonno costituisce una forma di stress e può spingere sia gli esseri umani che alcuni animali a incrementare il consumo alimentare”, afferma Barrett Klein, entomologo presso la University of Wisconsin-LaCrosse, specializzato anche nello studio della biologia del sonno.
Nei test di laboratorio, i moscerini della frutta soggetti a isolamento sociale dormivano in minor quantità e avevano un aumento dell’assunzione alimentare; i topi privati del sonno, al contrario, consumavano più cibo durante la fase di recupero. Alcune farfalle che non riposano a sufficienza presentano una nutrizione compromessa e depongono le uova su piante errate.
Se non riposano adeguatamente durante l’esecuzione della danza dell’addome (l’equivalente delle nostre coordinate GPS), alcune specie di api forniscono indicazioni direzionali meno accurate, spiega Klein via e-mail, fornendo così alle compagne informazioni meno efficaci su dove reperire il cibo.
Scott Heppell, ecologo marino della Oregon State University, non sottoscrive l’affermazione secondo cui gli animali reagirebbero allo stress come l’uomo.
“Secondo me è una visione un po’ troppo antropomorfica”, scrive. “Posso essere d’accordo col dire che altri animali hanno delle reazioni in qualche modo analoghe”, ad esempio nei casi in cui eventi stressanti vissuti dai genitori “possono influire sul comportamento della prole”. Negli esseri umani questo concetto è conosciuto come trauma generazionale.
I pesciolini d’acqua dolce chiamati spinarelli sembrano trasmettere i traumi ai piccoli, sebbene l’impatto sia diverso tra maschi e femmine. In una ricerca pubblicata sulla rivista Journal of Animal Ecology, gli scienziati hanno dimostrato che i discendenti maschi degli spinarelli padri che erano stati esposti ai predatori sono propensi al rischio, mentre queste esperienze non hanno alcun effetto sulle discendenti femmine. Invece, le madri che erano state esposte ai predatori producono una prole ansiosa in ambedue i sessi, e il motivo di questa differenza resta sconosciuto.
Il pericolo dei predatori. La sola presenza di predatori è sufficiente a generare ansia negli animali. Consideriamo, per esempio, il passero canoro, una specie analizzata da Liana Zanette, esperta di ecologia delle popolazioni presso la Western University di Ontario, Canada.
In uno studio del 2022, Zanette ha osservato i passeri canori selvatici nella Riserva del Parco Nazionale delle Isole del Golfo della Columbia Britannica, un’area con pochi predatori. Durante la ricerca, la scienziata ha installato strutture di protezione per garantire la sicurezza degli uccelli.
Per 18 settimane, il team di Zanette ha riprodotto a intermittenza, per metà degli uccelli in osservazione, registrazioni di animali pacifici come l’oca del Canada, volatili che non rappresentano una minaccia.
L’altra metà degli uccelli ha ascoltato registrazioni di corvi e cornacchie, specie che si nutrono di uova e pulcini di passero.
I risultati indicano che la paura dei predatori ha determinato una riduzione del 53% nella produzione di prole rispetto agli uccelli non esposti alle registrazioni allarmanti.
“I genitori sono veramente agitati quando percepiscono la presenza di predatori”, spiega Zanette; per questo motivo, anziché dedicarsi alla cova delle uova o all’alimentazione dei pulcini, scappano dal nido.
Potrebbe sembrare negativo, ma da un punto di vista evolutivo, la risposta degli uccelli è corretta: è preferibile sopravvivere e generare meno piccoli piuttosto che morire e non produrne affatto, chiarisce Zanette.
Questa paura indotta dall’ipotetica presenza di predatori può anche causare cambiamenti a lungo termine simili al disturbo post-traumatico da stress, continua la ricercatrice. In uno studio del 2019, Zanette ha scoperto che la cincia bigia americana (Poecile atricapillus), quando esposta ai predatori, mostra un’elevata attività cerebrale e una marcata sensibilità al pericolo almeno nei sette giorni successivi.
Ma come funziona, invece, per gli animali domestici, come, ad esempio, i cani? I cani domestici mostrano un livello di ansia superiore alle aspettative. Il rumore si configura come la principale fonte di disturbo, seguito dalla paura. Questo emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports condotto dal team dell’Università finlandese di Helsinki, guidato da Hannes Lohi. I problemi comportamentali e le ansie nei cani, sottolineano i ricercatori, compromettono la loro qualità di vita e possono spingere alcuni proprietari a rinunciare a loro. Per questo motivo, considerando anche l’ampio numero di cani da compagnia, gli studiosi hanno deciso di esplorare l’incidenza dell’ansia in questi animali attraverso un’indagine condotta su 13.700 cani. È emerso che il 72,5% degli animali nel campione manifesta comportamenti associati a stati ansiosi, inclusi segni di aggressività e paura.
Il principale scatenante di ansia per i nostri amici a quattro zampe, come detto in precedenza, è il rumore: il 32% dei cani esaminati manifesta ansia in risposta ai suoni, con i fuochi d’artificio in cima alla lista. Altri fattori stressanti includono i tuoni, particolarmente evidenti con l’avanzare dell’età. La seconda forma di ansia più diffusa, secondo la ricerca, è la paura, riscontrata nel 29% dei cani. In particolare, la paura degli altri cani colpisce il 17% del campione, quella degli estranei il 15%, e la paura di nuove situazioni l’11%. Nei cani più anziani, invece, emergono paure legate all’altezza e alla camminata su alcune superfici come griglie metalliche o pavimenti lucidi.
Si è notato che i cani di sesso maschile mostrano più frequentemente comportamenti aggressivi e iperattivi rispetto alle femmine, che, d’altro canto, risultano più inclini alla paura. Gli autori dello studio hanno anche individuato differenze comportamentali tra le razze. Ad esempio, il lagotto romagnolo, il Wheaten Terrier e le razze miste mostrano maggiore sensibilità al rumore, mentre il Pastore delle Shetland e le razze miste sono più propensi alla paura. La ricerca suggerisce che per ridurre l’incidenza di queste condizioni, potrebbero essere necessarie nuove pratiche di allevamento e modifiche negli ambienti in cui vivono questi animali.