Il senatore Borghi, su modello giapponese da Tokyo, propone un aumento delle pensioni sfondando così il debito pubblico.
Il senatore, membro della commissione del senato, Borghi porta avanti il modello pensionistico di Tokyo, in Giappone, dov’è previsto un aumento delle pensioni a discapito del debito pubblico, con uno stato che spende il 250% in più rispetto a quanto prodotto. Secondo il senatore, il modello economico italiano e quello giapponese non sono poi così distanti.
La discussione sulle pensioni giapponesi sollevata dal senatore Borghi ha suscitato un vivace dibattito sull’economia italiana e sul suo rapporto con il debito pubblico. Sebbene l’Italia e il Giappone abbiano economie simili in termini di crescita e struttura demografica, ci sono differenze significative nella gestione del debito pubblico.
Aumento delle pensioni? La proposta di Borghi
Il debito pubblico italiano ammonta al 145% del PIL, un dato preoccupante che ha implicazioni sulla fiducia degli investitori internazionali. Al contrario, il debito pubblico giapponese, anche se più elevato al 250% del PIL, è considerato sostenibile grazie a una serie di fattori unici. Innanzitutto, il Giappone paga interessi molto più bassi sui propri titoli di Stato rispetto all’Italia, grazie alla fiducia degli investitori nel sistema finanziario del paese. Inoltre, circa il 90% del debito pubblico giapponese è detenuto da istituti finanziari interni, come banche, fondi pensione e risparmiatori, che garantiscono una protezione contro le speculazioni esterne.
È vero che il Giappone ha una Banca Centrale che può intervenire direttamente sull’acquisto di titoli di Stato per stabilizzare il mercato e garantire la stabilità dei prezzi. La Banca Centrale European Central Bank (BCE) ha adottato una politica simile. Ciò durante il periodo del lockdown, al fine di mantenere i tassi a zero nell’area euro. Tuttavia, l’Unione Europea ha standard e regole più rigidi riguardo alla disciplina finanziaria e al controllo del debito. Ciò fa sì che il debito italiano sia considerato una maggiore preoccupazione rispetto a quello giapponese.
La questione dell’immigrazione e delle pensioni è un altro punto sollevato dal senatore Borghi. Secondo i dati dell’Istat, gli immigrati costituiscono l’8,6% della popolazione italiana e contribuiscono al 9% del PIL. Questi numeri dimostrano che gli immigrati non solo pagano le pensioni, ma anche contribuiscono alla nostra economia. Tuttavia, Borghi sostiene che l’Istat includa nel calcolo solo coloro che sono in regola e che sono stati assunti in periodi di forte crescita economica. La sua tesi è che, in questo momento, con un alto tasso di disoccupazione italiana, l’arrivo di ulteriori immigrati rappresenterebbe un onere per l’economia anziché un’opportunità.
L’immigrazione è un tema complesso e il dibattito sulla sua gestione è aperto a diverse opinioni. Borghi sostiene che gli immigrati possano essere sottopagati dalle imprese italiane, che cercano di ridurre i costi del lavoro. Tuttavia, ci sono anche argomenti a favore di un salario minimo che protegga i lavoratori, italiani o stranieri, da sfruttamento e condizioni di lavoro ingiuste.
Infine, l’idea di un’Italia fuori dall’eurozona, proposta da Borghi, solleva questioni sulla stabilità economica e sul supporto finanziario che l’Unione Europea fornisce al paese. Uscire dall’euro potrebbe mettere l’Italia a rischio di instabilità finanziaria e difficoltà nell’accedere ai fondi di ripresa come il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).