Gli incendi che stanno consumando ettari di foreste in tutto il mondo scaldano l’atmosfera con il Dark Brown Carbon, ma di cosa si tratta?
Una delle conseguenze più immediate ed evidenti dell’aumento delle temperature globali è la crescita del numero e dell’intensità degli incendi, nella maggior parte dei casi provocati dall’uomo, ma a causa del clima sempre più caldo e secco si diffondono sempre più velocemente, provocando danni devastanti.
Inoltre gli incendi provocano una scarsa qualità dell’aria e conseguenze negative per la salute delle persone: infatti sempre di più si subiscono gli effetti di stagioni degli incendi prolungate provocate dal cambiamento climatico in atto.
Gli incendi potrebbero avere impatti climatici maggiori di quanto si pensi
Il nuovo studio Shortwave absorption by wildfire smoke dominated by dark brown carbon pubblicato su Nature Geoscience, ha scoperto che gli incendi possono avere impatti climatici ancora maggiori di quanto si pensasse in precedenza.
I ricercatori, guidati da Rajan Chakrabarty e Nishit Shetty del Center for Aerosol Science and Engineering, Department of Energy, Environmenta and Chemical Engineering della Washington University in St Louis, ha scoperto che “gli incendi stanno causando un effetto di riscaldamento molto maggiore di quello che era stato spiegato dagli scienziati del clima”.
Lo studio, che si concentra sul ruolo del dark brown carbon– una classe abbondante ma prima sconosciuta di particelle emesse con il fumo degli incendi – evidenzia “l’urgente necessità di rivedere i modelli climatici e aggiornare gli approcci a un’ambiente che cambia”.
Per condurre un’analisi completa di quel che costituisce i pennacchi di fumo degli incendi, il team di Chakrabarty e Shetty ha passato 45 giorni in diverse zone colpite dagli incendi negli USA occidentali, dove hanno campionato il fumo gassoso e le specie di aerosol, analizzandone le proprietà chimiche e ottiche.
Una ricerca è stata condotta nell’ambito della campagna Fire Influence on Regional to Global Environments and Air Quality (FIREX-AQ), una joint venture guidata dalla NASA e dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA).
Dunque il fumo rilasciato dagli incendi non è tutto uguale: ci sono pennacchi più scuri e altri più chiari, ciascuno con le proprie caratteristiche.
Quelli scuri sono composti di particelle che assorbono la radiazione solare e contribuiscono all’effetto serra, mentre finora si pensava che quelli chiari fossero costituiti di particelle organiche che disperdono la luce del Sole, con un effetto opposto a quello dei pennacchi scuri.
Il nuovo studio, condotto da un team della McKelvey School of Engineering, dimostra per la prima volta che il fumo bianco non è benigno come credevamo. È vero che alcune delle sue particelle disperdono i raggi solari come si supponeva, ma ce ne sono altre che, nonostante siano chiare, assorbono comunque la luce del nostro astro.
Chakrabarty evidenzia che “la comprensione convenzionale è stata che i pennacchi scuri del fumo degli incendi contengono fuliggine di black carbon, che assorbe la radiazione solare, mentre i pennacchi più leggeri contengono principalmente carbonio organico che disperde la luce solare, il che significa che compensa l’assorbimento o l’effetto di riscaldamento della fuliggine. In genere, quando si tratta di riscaldamento, i modelli climatici ignorano o respingono il carbonio organico come insignificante rispetto al black carbon ma non è quello che rivelano le osservazioni sul campo. Questa non è un’immagine binaria. Invece, stiamo osservando un intero continuum in cui c’è un forte assorbimento della luce da parte del carbonio organico, o dark brown carbon, simile al black carbon“.
Durante il campionamento del fumo terrestre e aereo derivante dai mega-incendi, il team di Chakrabarty ha riscontrato un assorbitore di luce anormalmente forte nei pennacchi di fumo che non era il black carbon, ma che rappresentava più della metà dell’assorbimento totale osservato.
Meno potenti ma più numerose: le particelle dark brown carbon
Per capire di che materiale si trattasse e quali fossero le sue proprietà, Chakrabarty si è rivolto a Rohan Mishra, professore associato di ingegneria meccanica e scienza dei materiali Washington University in St Louis e Arashdeep Thind, il quale ha utilizzato un sofisticato microscopio elettronico del Center for Nanophase Materials Sciences del Dipartimento dell’energia degli Stati Uniti al’Oak Ridge National Laboratory (ORNL), per misurare le proprietà ottiche delle singole particelle dai campioni di fumo raccolti dal team di Chakrabarty.
“Sapevamo che c’era qualcosa di insolito in questo materiale nella sua composizione, struttura e spettro di assorbimento. Osservando la struttura atomica locale delle particelle dark brown carbon – che hanno dimensioni di poche decine di nanometri – e misurando contemporaneamente le loro proprietà ottiche utilizzando il microscopio elettronico dell’ORNL, siamo stati in grado di decifrare che queste particelle sono simili al black carbon. E’ probabile che si formino in modo simile alla fuliggine nelle fiamme ad alta temperatura lungo i bordi anteriori degli incendi”.
Dunque hanno congiuntamente scoperto che “il dark brown carbon assorbe leggermente meno luce del black carbon per particella, ma è 4 volte più abbondante nei pennacchi. Ciò significa che le particelle furtive di carbonio marrone scuro negli incendi probabilmente provocano un riscaldamento climatico molto maggiore di quanto precedentemente riconosciuto”.
Hanno anche notato che “queste particelle assorbono lunghezze d’onda della luce dall’ultravioletto al vicino infrarosso, coprendo l’intero spettro visibile. Sorprendentemente, questo potente dark brown carbon è resistente allo sbiancamento fotochimico guidato dalla luce solare che fa perdere agli aerosol organici che assorbono la luce la loro capacità di assorbimento nell’atmosfera”.
Queste scoperte hanno ampie implicazioni perché, con la previsione di un aumento degli incendi a livello globale nei prossimi decenni, il ruolo del dark brown carbon prodotto negli incendi avrà un impatto ancora maggiore.
Finora ignorate nei modelli climatici, secondo gli autori dello studio andrebbe calcolato anche il contributo di queste particelle organiche all’effetto serra, affinché potrà risultare evidente che gli incendi stanno peggiorando la situazione climatica globale più di quanto si credesse.
Chakrabarty e Mishra concludono affermando che “questo sottolinea la necessità di sfruttare la collaborazione multidisciplinare per rivedere i modelli climatici esistenti, per tenere conto degli effetti inaspettati del dark brown carbon nel fumo degli incendi. Senza questo aggiustamento essenziale, c’è il rischio di sottovalutare gli effetti del riscaldamento globale degli incendi e, quindi, l’urgenza degli sforzi di mitigazione del cambiamento climatico”.