I debiti sono problematici ma prima di arrenderti è bene conoscere la legge sul sovraindebitamento: ecco cosa devi sapere a riguardo.
Pagare i debiti può sembrare quasi impossibile a volte, nonostante gli sforzi. Quando il debito diventa troppo oneroso e devastante è molto facile entrare in uno stato di depressione, che rende impossibile trovare una via d’uscita. È importante, per questo motivo, tenere presente le leggi sul sovraindebitamento, anche note come leggi salvasuicidi. Queste sono pensate apposta per fronteggiare la crisi economica e uscire dal debito tramite accordi agevolati con i creditori e altre soluzioni simili.
Il sovraindebitamento è un debito specifico nel quale c’è squilibrio tra le obbligazioni e il patrimonio liquidabile a disposizione. Questo include una difficoltà oggettiva per il debitore nel ripagare il debito, quindi non una difficoltà momentanea. La legge aiuta chi è in grave difficoltà, ma si tratta nello specifico dei consumatori e piccole imprese. I debiti devono essere inoltre creati per scopi privati, non per attività imprenditoriali o professionali. Le persone fisiche con debiti per l’attività commerciale non hanno accesso alla legge sul sovraindebitamento, ma hanno accesso ad altre opzioni come l’accordo del debitore. Da notare che la legge salvasuicidi è applicabile una volta sola, e non può essere ripetuta in caso di successivi fallimenti. Unica eccezione è se sono passati più di cinque anni dall’ultima volta.
Se i requisiti sono soddisfatti, la legge offre tre possibilità per liberarsi del debito. In tutti e tre i casi il debito viene ridotto consistentemente, proporzionandolo alle capacità del debitore. A questo si aggiunge la possibilità di pagarli gradualmente, con un piano che tiene conto dei fabbisogni del debitore. È inoltre possibile cancellare segnalazioni pregiudizievoli a nome del debitore, per fargli ottenere altri finanziamenti.
La prima opzione, l’accordo con i creditori, è dedicata al debitore con partita IVA e alle imprese non fallibili. L’accordo proposto è un piano di rimborso, ma dev’essere accettato dai creditori che rappresentano il 60% del debito. Il piano viene formato dagli esperti dell’Organismo di composizione della crisi o, alternativamente, da un professionista singolo (avvocato o notaio) scelto dal tribunale. La domanda dovrà includere l’elenco dei creditori e relative somme dovute, insieme all’attestazione di fattibilità della proposta come stabilito da Ooc o professionista. La richiesta richiede, come detto, il consenso del 60% dei creditori. Una volta fatto l’accordo sarà vincolante e andrà rispettato da tutte le parti. Verrà però revocato se il debitore non paga entro 90 giorni dalla scadenza prevista.
Il piano del consumatore, invece, è pensato per il privato ed è relativamente simile al piano precedente. La differenza principale è l’inclusione di garanzie per l’adempimento dei debiti, per rendere la proposta più solida e appetibile ai creditori. Si può anche decidere di proibire al debitore l’accesso al credito al consumo, ovvero finanziamenti per l’acquisto di prodotti. Il Fisco si occuperà di verificare della presenza di debiti tributari. Anche qui bisognerà ottenere il 60% dei consensi da parte dei creditori, e il piano può esser respinto in base alla meritevolezza del debitore.
C’è, infine, la terza opzione, la più drastica di gran lunga: la liquidazione del patrimonio. Con questa, il debitore cede il patrimonio al fine di pagare i debiti. Questo conviene quando il patrimonio è inferiore al debito e non è facile da vendere. I beni non pignorabili sono esclusi, insieme ai crediti necessari per l’alimentazione. In questi casi non c’è una programmazione o proposta di riduzione programmabile con i creditori. Il debitore conferisce tutti i suoi beni ai creditori, che ne divideranno il ricavato. Questa soluzione è, quindi, quella meno conveniente per il creditore. È comunque un’opzione disponibile qualora le prime due non fossero accessibili, come nel caso di un privato con reddito molto basso e senza garanzie.
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