Hashima è l’isola fantasma del Giappone, ecco la sua storia

Da città-miniera – o forse è meglio dire città-prigione – dall’altissima densità di abitanti operai, a isola fantasma che attira turisti a causa del fascino della decadenza. Ecco la storia del relitto giapponese in mezzo al Pacifico

Il Giappone, nonostante la sua dimensione minuta rispetto a tante nazioni sconfinate, è una fonte inesauribile di posti magici e misteriosi.

La suggestività è uno degli ingredienti più comuni del fascino del Paese del Sol Levante, tra isole abitate più da gatti che da esseri umani a templi in mezzo alla natura, fino ad un’isola fantasma, come nel caso di Hashima. Ecco la storia di un luogo ormai totalmente desolato.

Una miniera di carbone fatta a isola

L’isola di Hashima è situata al largo del Giappone, nell’omonima prefettura, a circa 20 km dalla città di Nagasaki, e nel suo sottosuolo sono (o meglio, erano) presenti grandi quantità di carbone.

All’apparenza è un complesso residenziale che sbuca dalle acque del Pacifico, ma si tratta in realtà del relitto di una miniera entrata in funzione nel 1887 e abbandonata nel 1974. Durante quegli anni, nella città di cemento vivevano oltre 5000 persone in un’area estremamente limitata. E nonostante oggi non ci abiti più nessuno, negli anni d’oro dell’estrazione di carbone quella piccola isola era uno tra i luoghi più densamente popolati del pianeta.

Ma per quale motivo è stata abbandonata? E cosa ne rimane oggi di quel labirinto grigio di palazzi?

Una città sorta in un battibaleno

Viste le prospettive di guadagno, poco dopo la fondazione della miniera, e della cittadina circostante, il comparto minerario venne acquistato nel 1890 dalla Mitsubishi Motors che nel giro di pochi anni iniziò ad ampliare le costruzioni sull’isola e ad assumere sempre più personale.

Fu così che ad Hashima gli abitanti aumentarono a dismisura: si stima che nelle zone residenziali addirittura si raggiunse una densità abitativa pari a circa 140 mila abitanti per km2!

All’interno della minuscola isola erano presenti palazzi, scuole, ospedali, bar e negozi, e tutto il complesso di edifici era poi circondato da un alto muro, atto a difendere la città da venti e tifoni tipici della zona marina.

Ma questo voleva anche dire che, durante le costanti tempeste, Hashima era praticamente isolata dal resto del mondo, trasformando gli operai in “prigionieri” della miniera.

Le condizioni critiche degli abitanti e operai

La densità di popolazione da record rese la vita molto complicata per gli abitanti dell’isola: gli operai vivevano ammassati in piccoli appartamenti con bagni e cucine in comune, erano costantemente sorvegliati da guardie armate e, trovandosi su un’isola lontana dalla costa, dipendevano dalla terraferma per l’approvvigionamento di cibo, acqua e vestiti.

Anche il lavoro, quindi il motivo per cui si trovavano ad abitare ad Hashima, era massacrante. Implicava turni fino a 12 ore in stretti cunicoli che si snodavano nel ventre dell’isola fino a 1000 metri di profondità. Dunque sia le condizioni lavorative che quelle abitative erano al limite della decadenza forzata.

Bambina tra le rovine di una città fantasma dai palazzi di cemento
Foto | @GiapponePerTutti.it – Spraynews.it

La fine: l’abbandono di Hashima

Attorno agli anni Sessanta del Novecento, il petrolio iniziò ad acquisire sempre più importanza all’interno del panorama energetico mondiale, mettendo quasi completamente in ombra il carbone. La domanda di quest’ultimo, infatti, iniziò a diminuire sempre più rapidamente, costringendo la miniera a chiudere i battenti nel 1974, quando l’ultimo lavoratore abbandonò la città-miniera, o città-prigione nell’aprile di quell’anno.

Ciò che resta oggi di quell’epoca è una città fantasma, un relitto di cemento che si spunta dall’oceano Pacifico e ricorda la decadenza delle vite dei poveri abitanti, e le loro condizioni tutt’altro che dignitose. Non per questo, però, non attira turisti curiosi.

L’inizio delle visite turistiche

Negli anni subito successivi al 1974, data dell’abbandono definitivo, Hashima venne chiusa al pubblico, e poteva essere scorta soltanto dalle crociere turistiche che la circumnavigavano.

Poi, dal 2009 qualcosa è cambiato: ha suscitato l’interesse di chi ama andare alla scoperta di edifici e rovine e, grazie alla costruzione di un nuovo molo per le imbarcazioni, è arrivata l’apertura al turismo con tour organizzati e visite guidate (che è l’unica modalità con cui è possibile approdare ad Hashima).

Non soltanto: nel 2015 è stata nominata Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Come alba di una nuova era, i tour giornalieri prenotabili con partenza da vari punti del porto di Nagasaki sono aumentati. La traversata dura mezz’ora, ma anche quando prenotata ufficialmente, può spesso essere cancellata e rimandata a causa dei frequenti tifoni.

Durante i giri turistici, di Hashima vengono mostrati gli anfratti più sicuri e meno pericolanti dell’isola-fantasma.

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