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Attualità

Il nostro cervello suona rock? I neuroni ricreano un brano dei Pink Floyd

Alcuni scienziati sono riusciti a ricreare la celebre canzone dei Pink Floyd attraverso l’attività celebrale e l’intelligenza artificiale

Gli scienziati dell’Università di Berkley, in California, hanno compiuto l’impresa: sono riusciti a riprodurre Another Brick in The Wall, part 1 analizzando le registrazioni neurali della corteccia uditiva umana.
Come spiega il neuroscienziato francese Ludovic Bellier, ricercatore presso l’università californiana e primo autore dello studio in questione, pubblicato nei giorni scorsi su PLOS Biology, l’esperimento, protrattosi dal 2009 al 2015, ha coinvolto 29 pazienti sottoposti a elettroencefalografia intracranica (iEEG) per il trattamento dell’epilessia all’Albany Medical Center nello Stato di New York.  In particolare, i ricercatori hanno registrato la loro attività celebrare proprio mentre ascoltavano la popolare canzone del gruppo rock inglese.

Fondamentale nello studio, l’applicazione dell’intelligenza artificiale. Infatti, solo grazie alle possibilità offerte dalle avanzate tecnologie di modellazione computazionale, gli scienziati sono stati in grado di analizzare la reazione del cervello durante l’ascolto del brano dei Pink Floyd. I risultati serviranno alla creazione di dispositivi indirizzati alle persone che hanno malattie neurologiche.

Il cervello e la musica

Da sempre, la musica ha un ruolo predominante nella psiche umana per il suo grande impatto emotivo. Non a caso, diversi studi precedenti a quello dell’Università di Berkley avevano già rivelato i suoi effetti utili nel ridurre l’ansia e il dolore, migliorare l’umore, la qualità del sonno e la memoria. Ma cosa c’è di nuovo nell’analisi neuronale pubblicata su PLOS Biology? In sostanza, questa volta i ricercatori, grazie all’applicazione dell’intelligenza artificiale, hanno addestrato un computer ad analizzare l’attività cerebrale dei pazienti mentre ascoltavano la musica, nello specifico Another Brick in the Wall dei Pink Floyd. Quindi, sulla base degli schemi neuronali registrati in sede di esperimento, l’intelligenza artificiale è stata in grado di ricreare la canzone.

Nel corso dello studio, i neuroscienziati sono anche riusciti a individuare un punto preciso nel lobo temporale del cervello che ha “reagito” quando i volontari hanno ascoltato le sedicesime note del groove di chitarra della canzone. Quindi, hanno dedotto che questa particolare area circoscritta potrebbe essere coinvolta nella percezione del ritmo.

Inoltre, l’esperimento ha ribadito l’importanza cruciale dell’emisfero destro per un simile fenomeno. Infatti, questo lato del cervello ha dominato nel processo musicale, con una specifica regione della circonvoluzione temporale superiore identificata come cruciale per decifrare il ritmo nella musica rock. Quindi, stando alle affermazioni di Robert Thomas Knight, altro autore dello studio : “Ora sappiamo in dettaglio le regioni cerebrali che supportano la decodifica musicale”.

Pink Floyd: The Dark Side of The Moon | FACEBOOK @pinkfloyd

Ma perché per studiare il cervello gli scienziati hanno optato per i Pink Floyd? La scelta della canzone è stata dettata da un semplice motivo: piaceva ai pazienti più anziani. Inoltre, la canzone contiene 41 secondi di testo e due minuti e mezzo di base strumentale, che risulta essere una combinazione utile per capire come il cervello elabora le parole rispetto alla melodia.

Pertanto, analizzando i dati registrati su ogni paziente sono state identificate le parti del cervello che si “illuminavano” durante la canzone e a quali frequenze reagivano. Infatti, proprio come la risoluzione di un’immagine dipende dal numero di pixel, la qualità di una registrazione audio dipende dal numero di frequenze che può rappresentare. Per ricostruire in modo leggibile Another Brick in the Wall, i ricercatori hanno utilizzato 128 bande di frequenza, corrispondenti ad altrettanti modelli computazionali.

I risultati della ricerca

Come si diceva, i risultati dello studio di Berkley rappresentano un grande passo avanti per la creazione di dispositivi indirizzati alle persone che hanno malattie neurologiche che colpiscono la produzione vocale. Infatti, la ricerca di Bellier e i suoi si inserisce in un più ampio ramo scientifico che si occupa di estrarre parole dai segnali elettrici prodotti dal cervello delle persone con paralisi muscolare. L’obiettivo degli studi è che i nuovi dispositivi progettati riescano a trasmettere non solo ciò che qualcuno sta cercando di dire, ma che conservino anche parte della musicalità, del ritmo e dell’emozione del discorso.

Cervello: attività dell’emisfero destro | @pixaby

Pertanto, comprendendo meglio come il cervello metabolizza la musica, la speranza dei neuroscienziati è quella di costruire nuove protesi vocali per le persone con malattie neurologiche che colpiscono la capacità di produzione vocale.

Federica Cirone

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