Non si ferma la corsa ai rincari delle piattaforme di contenuti streaming: salgono i prezzi di Netflix, Dazn, Amazon Prime, Disney e Spotify
L’era dei contenuti in streaming a prezzi bassi e accessibili è finita: uno dopo l’altro i colossi delle piattaforme di intrattenimento stanno alzando il costo degli abbonamenti e, soprattutto, limitando gli accessi condivisi.
Complice la crisi dei numeri dopo l’esplosione di iscritti durante la pandemia tutti, da Amazon Prime a Netflix, da Disney + a Dazn e Spotify, hanno rincarato le tariffe in media del 33%.
Secondo i dati di Agcom, nel 2023 in Italia si contano 15,3 milioni di utenti unici alle piattaforme di streaming (utenti paganti si intende). A questi si dovrebbero aggiungere i circa 16 milioni di abbonati a servizi di musica e podcast e circa la metà di questi ha più abbonamenti attivi.
I rincari e la stretta sulle condivisioni delle piattaforme streaming
Gli apri fila della strada dei rincari è stato Netflix, aumentando il costo degli abbonamenti a partire dall’inizio del 2022, prima negli USA e poi nel resto del mondo, con il piano mensile standard portato da 11,99 a 12,99 Euro e quello premium da 15,99 a 17,99 Euro.
Il 15 settembre 2022 si è accodata Amazon che ha alzato il prezzo dell’abbonamento prime mensile da 3,99 Euro a 4,99 Euro al mese e il prezzo dell’abbonamento prime annuale è aumentato da 36,00 euro a 49,90 euro all’anno.
A cascata si è unita AppleTv+ facendo salire il costo del suo servizio di streaming da 4,99 a 6,99 euro, e Dazn che in Italia ha aumentato di 11 euro il prezzo dell’abbonamento standard, da 29,99 euro a 40,99 euro, e di 15 euro il piano plus, passato da 39,99 euro a 55,99 euro.
A luglio infine è stato il turno di Spotify, con i prezzi dell’iscrizione premium in salita a 10,99 Euro dai 9,99 precedenti, mentre dal prossimo novembre anche Disney+ seguirà la tendenza portando l’abbonamento da 8,99 a 11,99 Euro al mese, mettendo una stretta anche sulla condivisione degli account.
Le restrizioni alla condivisione degli abbonamenti in Italia sono state applicate prima da Netflix, la quale ha stabilito che da maggio 2023 per poter usare lo stesso account in case diverse si deve pagare un costo aggiuntivo di 4,99 al mese.
Inoltre, tra le svolte introdotte da Netflix, a novembre 2022 è arrivato anche l’abbonamento con pubblicità: un compromesso per anni respinto dall’azienda ma reso necessario per fronteggiare la perdita di abbonati da 5,49 Euro.
Il piano con pubblicità verrà introdotto anche da Disney+ che, tra le nuove opzioni in arrivo in Italia da novembre, ci sarà l’abbonamento con pubblicità che costerà 5,99 Euro al mese con definizione full HD e senza possibilità di scaricare contenuti.
L’ultima web company che potrebbe aggiungersi nella fila dei rincari dei servizi in streaming è Youtube, con l’intenzione di rivedere al rialzo il costo del proprio servizio, da 11,99 a 12,99 euro. Rincari che negli Usa sono già stati applicati: YouTube Premium costa 13,99 dollari al mese, 2 dollari in più rispetto a prima.
Secondo le stime del Financial Times, se si calcola il totale delle iscrizioni delle principali piattaforme di streaming, dopo che Disney, Paramount, Warner Bros Discovery e altri hanno aumentato i prezzi dei loro servizi, un abbonato negli Stati Uniti arriverebbe a pagare in autunno 87 dollari contro i 73 dollari dello stesso periodo del 2023. A confronto, sempre oltreoceano, pacchetto medio della tv via cavo costa 83 dollari al mese.
Le ragioni dei rincari: è tutta colpa dell’inflazione?
Uno dei motivi principali dei rincari delle piattaforme streaming è l’inflazione, ma secondo diversi analisti dietro ci sarebbe un cambiamento netto dell’industria dei media.
Sempre il Finacial Times ha definito questo nuovo scenario la fine dell’era dei servizi a basso costo: per decenni infatti queste aziende si sono fatte porta bandiera nel raggiungere il massimo numero di utenti possibile inondando i palinsesti di film e serie cult.
Ma l’impennata dei tassi di interesse e l’impatto che questo avrebbe avuto sulle produzioni avrebbe imposto un rapido cambio di rotta. Wall Street ha punito le aziende che non riuscivano a garantire profitti stabili arrivando a dimezzarne il valore sul mercato azionario.
Dopo il boom della pandemia e dei nuovi abbonati, molte aziende hanno dovuto licenziare e hanno cercato strade per rimettersi in carreggiata.
Il caso più noto è quello di Netflix, che oltre all’aumento dei prezzi per i nuovi abbonati ha imposto un rigido stop alle password condivise: mossa che, nell’ultima trimestrale, ha fatto registrare 5,9 milioni di abbonati in più nel mondo.
L’aumento dei prezzi – sostengono le aziende – dovrebbe arrivare con un aumento della qualità dei servizi offerti.
L’industria cinematografica di Hollywood è ancora inchiodata a uno sciopero record degli sceneggiatori e degli attori: 120 giorni di braccia incrociate in attesa di avere un adeguamento contrattuale, che però non arriva. Al momento l’unica certezza sono i rincari. O, in alternativa, l’opzione di abbonamenti con la pubblicità per evitare esborsi troppo onerosi.