Trovare lavoro sta diventando sempre più difficile ma non è il caso di mentire al colloquio. I rischi legali possono essere molto gravi.
Il mondo del lavoro diventa sempre più competitivo, anche perché attualmente le proposte sono poche e le competenze da possedere tante. Alcuni, per ottenere il risultato finale, mentono al colloquio di lavoro.
Questo atteggiamento è da evitare, soprattutto perché prima o poi la verità verrà a galla. Non solo, ma mentire a un colloquio di lavoro può avere gravi conseguenze anche dopo l’assunzione del dipendente.
Colloquio di lavoro: se non è il tuo posto non mentire per ottenerlo, i rischi legali sono gravi
Molto spesso, sia per l’emozione e sia per ottenere l’ambito posto, capita che alcuni candidati mentano al colloquio di lavoro. La menzogna può riguardare il voto di laurea, un livello di conoscenza di una lingua straniera, la dichiarazione di essersi dimesso ma in realtà è stato licenziato oppure di aver lavorato per un’azienda dove non è mai nemmeno entrato.
Questi sono solo alcuni esempi. Lo scopo è far capire che, a prescindere dalla bugia, mentire durante un colloquio di lavoro può comportare rischi legali una volta scoperta la verità.
Tra l’altro una recente sentenza della Cassazione (n. 18699/19 dell’11.07.2019) ha trattato un caso del genere. Anche se la vicenda riguardava il pubblico impiego, il principio si può applicare a qualsiasi rapporto di lavoro.
Quindi, non si dovrebbe mai mentire soprattutto in un rapporto di lavoro deve valere il principio di buona fede. Con questa espressione di intende l’obbligo del dipendente a comportarsi in maniera leale e fedele nei confronti del datore di lavoro.
In realtà, tale principio si applica solo dopo aver instaurato il rapporto di lavoro, facendo pensare che mentire al colloquio di lavoro sia lecito. Tuttavia, ciò comunque non dovrebbe avvenire perché esiste una norma del Codice civile secondo la quale le parti che svolgono delle trattative per la conclusione di un contratto dovrebbero comportarsi secondo il principio della buona fede.
Ritornato alla sentenza della Cassazione, secondo i giudici è consentito licenziare il dipendente che ha mentito al colloquio di lavoro se non sarebbe mai stato assunto, anche se avesse detto la verità. Al contrario, il dipendente conserva il posto di lavoro se sarebbe stato assunto lo stesso, a prescindere dalla bugia detta.
Insomma, il datore di lavoro deve valutare cosa sarebbe successo se il candidato non avesse mentito. Quindi, la scelta di licenziare o meno dipende, oltre dalla gravità della bugia dipende da quanto questa abbia inciso sull’instaurazione del rapporto di lavoro.
Infine, la sentenza entra in merito anche del CV falsificato che potrebbe comportare un rischio penale perché considerato reato contro la fede pubblica e falso ideologico.