Con tono deciso, l’organizzatrice di Miss Italia dichiara di voler escludere le donne transgender dal concorso di bellezza. Ecco le sue parole, rilasciate in diretta nazionale
Anche se una modella transgender ha vinto l’edizione 2023 di Miss Olanda, il concorso di bellezza più famoso d’Italia resta ancorato alla tradizione: nessuna apertura alla competizione alle donne transgender. Lo ha confermato Patrizia Mirigliani, patron di Miss Italia, motivando la sua scelta ai microfoni di Non stop news su RTL 102.5.
A dicembre Rikkie Valerie Kollé parteciperà a Miss Universo come rappresentante dei Paesi Bassi, dove alcuni giorni fa è stata incoronata donna più bella del paese. La notizia è stata molto chiacchierata, perché Kollé è una donna transgender. Come lo è anche Anne Jakrajutatip, l’imprenditrice thailandese a capo del concorso di bellezza “universale” nato in California nel 1952, che ogni anno elegge la donna più bella del mondo.
I tempi cambiano, le tradizioni vengono messe in discussione e aggiornate ai tempi correnti, ma non in Italia in questo caso.
Patrizia Mirigliani è la figlia di Enzo Mirigliani, storico creatore del concorso di bellezza italiano, da lui ideato nel 1958. Davanti ai microfoni del più importante news-show radiofonico dell’emittente più ascoltata d’Italia, RTL 102.5, la donna ha ribadito l’indisponibilità ad aggiornare il regolamento per permettere alle persone transgender di partecipare: “Dico solo che le cose devono andare per gradi, l’Italia è un paese delicato e particolare. Inoltre, al momento, solo due transgender hanno richiesto di partecipare a Miss Italia. Pertanto, il mio regolamento attuale non lo consente. La tradizione di un concorso che esiste da 84 anni ha una sua importanza, ma non ho nulla in contrario riguardo a chi decide di ammettere transgender a concorsi di bellezza, a patto che non sia strumentale”.
E fin qui, nonostante il dibattito pubblico possa mettere in discussione diversi aspetti citati, non ci sono state dichiarazioni problematiche quanto quella espressa poco dopo in radio da Mirigliani: “Non ho ancora aperto alle transgender, poiché ritengo che debbano essere nate donne. Quindi, finché andrà avanti il mio regolamento sarà così. E per ora non ritengo di cambiarlo”.
Innanzitutto le posizioni della patron di Miss Italia al riguardo sono state espresse con poca cautela linguistica: per rispetto della categoria che lei intende escludere si preferisce usare l’espressione “donne transgender”, piuttosto che “le transgender”. Inoltre, l’opinione pubblica che si oppone al suo pensiero non ha potuto non notare un tono discriminatorio che si basa su un fattore “prettamente” biologico.
Dalle sue parole si può dedurre che secondo Patrizia Mirigliani non è donna chi si sente donna e ha compiuto un percorso per la riassegnazione di genere, ma è donna solo chi è nata con gli attributi sessuali riconosciuti al genere femminile. Da questo deriva che concorsi di bellezza come Miss Italia sono lontani anni luce dalle battaglie non solo del femminismo, ma anche della comunità lgbtq+, oltre a proporre una certa imposizione dei canoni di bellezza per le donne, a cui tramite questi programmi si finisce inevitabilmente per suggerire – in modo nemmeno troppo velato – a quale modello estetico “si dovrebbe” ambire.
A criticare la presa di posizione della patron è stata, entro poche ore dal programma radiofonico, Vladimir Luxuria: “Io sono favorevole alle pari opportunità. – ha sostenuto – Così come credo che debbano valere nello sport, altrettanto deve accadere per un concorso di bellezza. Trovo fuori dal tempo che si escluda dalla partecipazione a Miss Italia un transgender che ha ultimato la transizione e pertanto è donna a tutti gli effetti”.
“Perché, se uno ha compiuto la transizione e pertanto è donna a tutti gli effetti, deve presentare il certificato di nascita? – ha dichiarato Luxuria – Bisognerebbe semplicemente farle un provino, come accade con tutte le altre concorrenti”.
Secondo l’attivista, opinionista ed ex politica transgender, la battaglia contro la transfobia, contro l’esclusione di queste persone, e la promozione di un trattamento più dignitoso delle diversità, dovrebbe assolutamente passare anche attraverso questo tipo di manifestazioni pubbliche e “pop”, dato che, proprio in quanto popolari, possono arrivare al grande pubblico e farlo riflettere.
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