Avete mai sperimentato il bisogno irrefrenabile di fare acquisti o di comprare l’ultimo modello di qualche dispositivo? Ecco cos’è lo shopping compulsivo
In certe circostanze, la scelta di acquistare un oggetto potrebbe trasformarsi in uno “shopping compulsivo”, manifestando un irresistibile desiderio di possederlo, anche senza una reale necessità. Con l’evolversi delle nuove tecnologie, sembra che le nostre decisioni d’acquisto siano fortemente plasmate dalle pubblicità. Negli anni ’50, con l’avvento delle prime televisioni e il successivo boom dei caroselli, si è inaugurata un’epoca prolungata di “indottrinamenti” tecnologici che quotidianamente incidono sulle nostre scelte di acquisto. Ma in che modo lo shopping diventa compulsivo? Vediamolo insieme.
Shopping compulsivo, cos’è, cause e possibili soluzioni al problema
Ciò che è importante ricordare è che il marketing pubblicitario, pur nelle sue forme variabili nel corso del tempo, è sempre stato presente: dal ragazzino venditore che con la sua voce acuta spingeva all’acquisto dei giornali appena stampati in piazza, fino alle antiche epoche in cui la faccia dell’Imperatore figurava sulle monete, tutto si traduce in pubblicità.
Allora, per quale motivo può diventare così difficile resistere agli acquisti? Se l’economia ha sempre funzionato così, ciò suggerisce che in noi risiede qualcosa di incontenibile, un istinto innato che ci spinge a essere facilmente persuasi da ciò che vediamo. Il neuromarketing è la disciplina che esplora il funzionamento del cervello del consumatore e come, di conseguenza, le pubblicità possono influenzare le nostre decisioni. In questo articolo esamineremo il legame tra la dopamina e il marketing pubblicitario, come agisce nel nostro cervello e perché potrebbe generare dipendenza.
La dopamina è un composto chimico che svolge il ruolo di neurotrasmettitore nel sistema nervoso centrale. Presenta una struttura molecolare con anello benzenico ciclico e un gruppo etilamminico terminale, appartenente alla categoria delle catecolamine. Questa sostanza è presente in diverse regioni del nostro cervello, conosciute come circuiti dopaminergici. Molte di queste si localizzano nei nuclei del mesencefalo, la parte superiore del tronco encefalico, tra cui substantia nigra, nucleus accumbens e area tegmentale ventrale.
Fondamentalmente, i neuroni presenti in queste specifiche regioni sono dotati degli enzimi necessari per la sintesi della dopamina dai suoi precursori, utilizzandola come neurotrasmettitore per interagire con altri neuroni nel medesimo circuito. Questi neuroni, naturalmente, non sono costantemente attivi, ma reagiscono a stimoli specifici: la ricerca ha stabilito molto tempo fa che essi si attivano in particolare quando compiamo un’azione che ci offre soddisfazione e si ripete nel tempo.
La dopamina rappresenta il segnale primitivo della ricompensa. Si ipotizza che nei tempi antichi questa sostanza desse ai nostri antenati la motivazione necessaria per cercare cibo e nutrirsi. La carenza di dopamina nei neuroni spingeva le comunità a muoversi e a fornire alimenti non solo per sé stessi, ma anche per i propri familiari.
Ancora oggi, sperimentiamo una liberazione di dopamina dopo un delizioso piatto di pasta o l’assunzione di una sostanza stupefacente. La dopamina crea un ciclo di feedback positivo, poiché quanto più abbondante è la sua presenza nel nostro sistema, tanto più il corpo è spinto a cercarne ulteriormente. Questo loop, originariamente pensato per la nostra sopravvivenza, talvolta si traduce nelle dipendenze più problematiche per l’essere umano. In un contesto moderno, il cibo non rappresenta più una risorsa vitale da procurarsi a ogni costo. Sebbene la scarica di dopamina che poteva provare un nostro antenato fosse presumibilmente più intensa della nostra al ritorno dal supermercato, il nostro cervello non riesce a discernere tale differenza. Acquistando un prodotto desiderato, attiviamo il medesimo circuito che si attivava nella mente del nostro antenato cacciatore, che uccideva una bestia selvaggia per nutrire la sua famiglia.
Cos’è il marketing della dopamina? Il marketing della dopamina è la strategia adottata da molte agenzie pubblicitarie per “sfruttare” l’influenza della dopamina sul nostro cervello, incoraggiando comportamenti d’acquisto. Come discusso precedentemente, il sistema dopaminergico (insieme a quello serotoninergico) svolge un ruolo significativo nel comportamento di rinforzo e nella tendenza a ripetere azioni soddisfacenti.
In uno studio del 2020, i ricercatori hanno testato l’uso di una molecola stimolante simile alla dopamina (L-DOPA) e un placebo su due gruppi sperimentali distinti. Successivamente, i partecipanti di entrambi i gruppi venivano invitati a effettuare una scelta d’acquisto. L’impiego di tale molecola (e quindi l’attivazione del sistema dopaminergico nel cervello) ha avuto un impatto significativo sul comportamento d’acquisto, sostanzialmente riducendo la ponderazione della rilevanza dell’acquisto da parte del consumatore.
Ma qual è l’effetto della dopamina sulle nostre scelte? Esaminiamo in dettaglio il funzionamento dello studio: all’inizio dell’esperimento, ai partecipanti veniva casualmente assegnata l’assunzione di una sostanza. In un caso, si trattava di L-DOPA, nell’altro di un semplice placebo. Dopo pochi minuti, quando la sostanza produceva effetto, ricevevano 5 dollari da investire in una simulazione di mercato azionario. Fondamentalmente, dovevano investire in alcune delle aziende presenti nel loro portafoglio, ricevendo nel contempo informazioni sull’andamento del mercato finanziario. Il compito consisteva nel valutare se pensavano di aver incrementato o ridotto il guadagno dopo l’investimento. Inoltre, potevano decidere di pagare una certa somma per rimanere completamente all’oscuro dell’andamento del mercato e “andare alla cieca”.
La scelta maggiormente influenzata dall’utilizzo della dopamina ha sorpreso le aspettative. I soggetti trattati con L-DOPA erano disposti a pagare di più per ottenere informazioni sul loro portafoglio o per evitare di riceverle in base all’andamento del mercato. In pratica, quando le azioni scendevano, non desideravano conoscere l’entità delle loro perdite, mentre quando le azioni aumentavano, desideravano essere informati sulla crescita del loro guadagno. Al contrario, i partecipanti con placebo cercavano informazioni sui possibili guadagni in egual misura, ma non volevano rimanere ignari delle loro perdite. L’effetto della dopamina, in sintesi, si poteva interpretare come una minore inclinazione a considerare e accettare il fallimento.
E perché facciamo shopping compulsivo? Il recente studio suggerisce un indizio: le decisioni con esiti negativi sembrano ricevere minor considerazione in presenza di dopamina. Tuttavia, questo non spiega completamente il motivo per cui tutti noi, fin da bambini, desideriamo ardentemente acquistare quella Barbie e, da adulti, quell’iPhone a ogni costo.
La chiave è nel significato che l’atto di acquisto assume nella nostra vita. Se, da un lato, il circuito dopaminergico può essere attivato dalla soddisfazione di un pasto necessario per la sopravvivenza, allo stesso modo, un prodotto con un alto valore sociale può provocare lo stesso effetto. Se il nostro cervello attribuisce valore a un oggetto, l’acquisto diventa un gesto altamente gratificante, in grado di attivare i circuiti dopaminergici del mesencefalo, rafforzando al contempo la tendenza a ripetere l’azione. Questo concetto spiega anche molti acquisti compulsivi, simili a ciò che avviene nelle dipendenze da sostanze psicoattive. In pratica, la significativa liberazione di dopamina derivante dal primo acquisto crea un ciclo di feedback positivo, stimolando la sintesi di nuova dopamina nei medesimi neuroni. Ecco perché molte sostanze stupefacenti (e molte pubblicità) agiscono proprio sulla sensazione di piacere per innescare questo ciclo di ricerca continua di soddisfazione.
Nel contesto dello studio menzionato in precedenza, la dopamina ha un impatto non solo sulla ripetizione dell’azione, ma anche sulla scelta dell’ignoranza: quando siamo catturati da questo circuito, sembra difficile rendersi conto delle conseguenze negative delle nostre decisioni. Questa speculazione è affascinante, anche se non sufficiente per trarre conclusioni definitive, ma apre la porta a stimolanti dibattiti.