Secondo Mediobanca Securities, l’introduzione della tassa sugli extraprofitti è stata una mossa inattesa e che avrà impatto sulle banche
Ma quindi la tassa sugli extraprofitti delle banche è giusto introdurla in Italia? Il suo obiettivo è quello di destinare i proventi all’assistenza delle famiglie nel pagamento dei mutui e a una riduzione degli oneri fiscali.
Questa misura rappresenta un passo decisivo verso una maggiore equità fiscale e un’impostazione più orientata al sostegno delle famiglie e dell’intera economia, poiché fino a questo momento le banche avevano spesso goduto di margini di profitto considerevoli e l’introduzione di questa tassa indica una chiara volontà, da parte del governo, di ridistribuire una parte di questi profitti in modo più equo tra i cittadini e le famiglie.
Cosa cambia dunque per chi ha un mutuo con la tassa sugli extraprofitti delle banche? Il prelievo straordinario a carico degli intermediari finanziari varato dal governo Meloni prevede che gli istituti di credito diano un contributo rispetto ai margini di interesse sulle loro attività di credito.
Il prelievo scatta se il margine di interesse registrato nel 2022 eccede di almeno il 3% il valore del 2021. La quota sale al 6% nel 2023 sul 2022 e, secondo gli analisti, la nuova imposta si applicherà ai profitti del 2023, perché l’incremento sarà superiore al 6% – mentre l’incremento del margine di interesse delle banche tra 2021 e 2022 è stato di 7 miliardi -.
Gli introiti, ha annunciato il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini, andranno al taglio delle tasse e in un aiuto per i mutui sulla prima casa.
“La misura, ai fini della salvaguardia della stabilità degli istituti bancari, prevede anche un tetto massimo per il contributo che non può superare lo 0,1% del totale dell’attivo” ha dichiarato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.
Secondo le prime valutazioni, il gettito atteso dal governo è tra i due e i tre miliardi, mentre a causa del rialzo dei tassi voluto dalla Banca Centrale Europea oggi un mutuo medio a tasso variabile stipulato nel gennaio 2022 fa sborsare agli assuntori 2.300 euro in più – e a luglio 2024 la quota maggiorata dovrebbe arrivare a 5300 euro.
Il Corriere della Sera spiega che con le nuove norme il costo dei mutui di nuova accensione potrebbe aumentare, perché le banche potrebbero scegliere di far ricadere sulla clientela il costo della nuova tassa, o almeno in parte. Il quotidiano calcola un possibile aumento dello 0,5% del costo dei prestiti delle imprese e dei nuovi mutui.
Questo extracosto però non andrà a colpire i mutui in essere, neanche quelli a tasso variabile, poiché la rata di quest’ultimo è parametrata al tasso Euribor: il tasso di interesse medio delle transazioni finanziarie in euro tra le principali banche europee.
Il Governo ha inoltre annunciato sui mutui agevolazioni per i giovani con meno di 36 anni e reddito Isee non superiore ai 40 mila euro.
La stipula del mutuo potrebbe usufruire di una garanzia pubblica fino all’80%, una misura già esistente fino al 30 settembre e, per questa categoria, è in vigore la defiscalizzazione totale.
Infatti chi acquista una casa ha l’esenzione dell’imposta di registro e delle imposte ipotecarie e catastali e un credito di imposta pari all’ammontare dell’IVA corrisposta, se dovuta. Anche per l’atto di mutuo resta in vigore per tutto il 2023 l’esenzione dall’imposta sostitutiva – lo 0,25% dell’ammontare complessivo -.
E mentre ieri a piazza Affari gli istituti di credito hanno bruciato 9 miliardi, Lorenzo Bini Smaghi, attuale presidente di Société Générale e già membro del board della Bce afferma che la tassa potrebbe essere incostituzionale.
“Non è vero che gli istituti di credito hanno fatto più profitti rispetto ai servizi, al lusso, all’energia o alla meccanica. Non c’è motivo per penalizzare un comparto anziché un altro: perché creare una tassa ad hoc? Mentre un prelievo su misura per gli utili derivanti da aumenti di prezzi petroliferi può essere giustificato, qui c’è un fenomeno che interessa tutti i settori che è l’inflazione e che ha consentito a molti di questi di avere un aumento di guadagni temporanei. Non vedo perché distinguere le banche dall’automotive o dal farmaceutico” continua Bini Smaghi.
Sempre secondo Bini Smaghi le banche potrebbero stringere i cordoni dei finanziamenti, “perché per erogare hanno bisogno di capitale, che si genera con gli utili. Se questi ultimi li riduciamo tassandoli, si ridurranno anche i prestiti. È una misura che avrà un impatto negativo sulla crescita economica. Ci sarebbe da aggiungere che il confronto con il 2021 per calcolare il margine di interesse è particolarmente distorsivo perché allora i tassi erano negativi e gli utili delle banche molto bassi come evidenziato dalle valorizzazioni”.
Mentre anche l’idea di una maggiore remunerazione del conto corrente comporta qualche rischio: “Non deve essere forzato, dipende da domanda e offerta di depositi. Chi non vuole tenere un deposito a vista con zero rendimento può sempre impiegarlo in altro modo, ad esempio in depositi a termine, a 3 mesi, che avrebbero un rendimento positivo: è il caso della Francia” conclude Bini Smaghi.
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